domenica 10 giugno 2018

Ecco perché l'Italia rischia, e non è colpa dell'Europa

Introduzione

In questo periodo si parla di reddito di cittadinanza  e flat tax, di cambiamenti a favore dei cittadini. Eppure, a memoria, ogni partito da 40 anni promette di abbassare le tasse e contemporaneamente di aumentare pensioni e servizi. A mettere i bastoni tra le ruote alle promesse elettorali ci si mette ogni volta la REALTA' dei vincoli finanziari. 
L'Italia ha tentato negli anni la "scorciatoia" del debito per coprire i buchi di bilancio, e oggi il debito pubblico è diventato un problema serio, tutti gli analisti concordano su questo. E’ un problema serio perché pagare 80 miliardi d’interessi l’anno, circa 3600€ di tasse per ogni lavoratore italiano, senza ottenere alcun servizio in cambio è un freno grave all’economia. Immaginate come sarebbero le vostre vite con 3600€ in tasca in più a fine anno, immaginate come sarebbe più forte l’economia con questi soldi. Inoltre è un problema perché al tasso di crescita attuale, prima o poi l’Italia rischia di dover dichiarare la bancarotta, esattamente come l’Argentina nel ’98.
In questo articolo ho cercato di fare un’analisi chiara e comprensibile di come siamo arrivati alla situazione odierna e di quello che ci dobbiamo aspettare dal futuro.

Dinamiche del debito e definizione di DEFICIT

I teorici della “crescita a debito” sostengono che sia possibile spendere ogni anno più soldi di quelli che lo stato incassa, ottenendo un’accelerazione dell’economia in virtù del fatto che il PIL aumenterebbe più rapidamente degli interessi sul debito, garantendo una crescita infinita.
La condizione si-ne-qua-non che l’entità “debito” contribuisca alla crescita economica è che la liquidità entrante ogni anno sia maggiore degli interessi da pagare, e possiamo dire che nemmeno un nobel per l’economia potrebbe negare questa ipotesi di partenza. 
Facciamo un esempio pratico: ipotizziamo che qualcuno mi abbia prestato 100€ e di dover restituire il prestito con l’interesse del 4% annuo; a fine anno dovrei quindi al creditore 104€. Se non volessi tirare fuori 104 € di tasca mia, potrei cercare un altro finanziatore, e mettiamo il caso che ne trovi uno disposto a prestarmi 110€: in questo caso potrò pagare il debito pregresso di 104€ e avrò anche 6€ in più da spendere. Sembrerebbe che ci guadagniamo entrambi: io non devo pagare il debito, mentre il nuovo creditore investe i suoi soldi, ottenendone una rendita. Questi 6€ di liquidità fresca che ho a disposizione grazie al meccanismo del rifinanziamento del mio debito vengono definiti come deficit finanziario. Il nome deficit deriva dal fatto che con questi soldi posso coprire spese che non sarei in grado di sostenere senza fare debito. 
Ma andiamo avanti: arrivato, anno dopo anno, alla ragguardevole cifra di 10’000€ di debito, non trovo più nessun creditore disposto a prestarmi più di quanto già non debba pagare (…strano eh?). Inoltre i nuovi prestiti mi vengono elargiti al tasso non più del 4 ma dell’8%, in quanto sono considerato un soggetto inaffidabile. A fine anno dovrò dunque ai creditori 10’000€ + 800€ d’interessi, quindi 10’800€. I creditori hanno però stabilito che il mio limite di credito è ormai saturo e d’ora in poi non mi presteranno non più di 10’000€. Stavolta dovrò quindi tirare fuori 800€ di tasca mia.
Riassumendo, possiamo individuare chiaramente due diverse situazioni:
  1. Fase di CRESCITA del debito. E' Necessario che il debito cresca più velocemente  dei suoi interessi, perché possa essere vantaggioso per la mia economia 
  2. Fase di CONTENIMENTO del debito: se il debito non cresce, diventa un peso e sottrae denaro al sistema

Giungiamo quindi a un paradosso: per non diventare un problema per l'economia, il debito deve crescere. Ma se cresce, diventa prima o poi un problema. Non c'è dunque modo che il debito possa essere una soluzione vantaggiosa a tempo indeterminato.

Matematica del debito

E’ opinione diffusa tra gli economisti che il rapporto debito/PIL debba mantenersi entro il 100%, dopodiché il debito diventa un fardello ingestibile per l’economia:

PIL > D

Per restare in un’area considerata gestibile, dunque il PIL dovrà crescere a sua volta più velocemente di quanto il debito non cresca sui propri interessi.
Si dimostra matematicamente che gli interessi sul debito crescono con un rateo esponenziale (tralascio le formule), a causa del meccanismo degli interessi sugli interessi. Detto in parole, significa che crescono ogni anno sempre più velocemente. E’ un fatto assodato che nessun paese di questo mondo cresca non solo in maniera continuativa, ma con un rateo sempre maggiore anno per anno (la famosa “crescita infinita” dei fautori del capitalismo sfrenato). L’economia dei paesi, a differenza degli interessi, a volte cresce e a volte rallenta, è un fatto. E’ dunque MATEMATICAMENTE INEVITABILE che una funzione esponenziale, come quella che descrive la crescita del debito sui propri interessi, superi, prima o poi, il valore del PIL di un qualsiasi paese. Matematicamente si direbbe che l’esponenziale ha un ordine di infinito superiore. La teoria della “crescita a debito”, dunque regge per un periodo limitato nel tempo e solamente quando il valore assoluto del debito è inferiore al valore del PIL, soglia oltre la quale gli investitori iniziano a considerare il paese non affidabile e a pretendere tassi d'interesse insostenibili.

Analisi storica del debito italiano

Nella prima sezione abbiamo introdotto il deficit, e risulta chiaro che si tratti del parametro chiave per comprendere le dinamiche del debito. Come detto, il deficit ci dà la misura di quanto salga il debito anno per anno. Il debito, come detto, sale anche a causa degli interessi, ma il deficit dà la misura della cura del bilancio finanziario da parte del governo in carica e, a differenza degli interessi, non può essere attribuito alle negligenze dei governi passati. Più è alto il deficit, più cresce il debito. Di contro, più è alto il deficit e più posso abbassare le tasse. Un governo che opera in profondo deficit potrà abbassare le tasse, ma scaricherà un fardello maggiore sui governi successivi. Ciononostante, un governo che opera in deficit è percepito in maniera positiva dall'elettorato, che evidentemente è più preoccupato per l'oggi che non per il domani, e questo è un chiaro limite della democrazia. In un paese normale, si vedrebbero alternare periodi con deficit positivi a periodi con deficit negativi, ma la media dovrebbe comunque attestarsi a valori intorno allo zero. Il concetto è semplice: durante i periodi di crisi è possibile immettere liquidità nel sistema emettendo buoni del tesoro per stimolare l’economia, ma nei periodi di ripresa i conti devono tornare in ordine e occorre porre rimedio con manovre correttive.

Il deficit si riporta, per comodità, in percentuale rispetto al PIL. Vediamo lo storico del deficit per l’Italia negli ultimi 40 anni:


Il grafico ci dà numerose indicazione, ed è importante per comprendere come siamo arrivati a bruciare 80 miliardi l’anno d’interessi:
  1.  l’Italia in 40 anni NON HA MAI RAGGIUNTO LA PARITA’ DI BILANCIO! (cioè Deficit = 0) Questo è una gestione assolutamente insostenibile: quale azienda può sopravvivere a 40 anni di perdita continuativa? Quale banca finanzierebbe ancora un’azienda del genere?
  2.  Il paese ha alternato periodi di sforzi volti a contenere il debito, a periodi di “gestione allegra” delle finanze. In particolare, i governi anni ’80 toccavano deficit mostruosi a doppia cifra, fino al glorioso 12,4% raggiunto da Craxi nell’85. A termine di paragone, un deficit del 12,4% oggi ammonterebbe a 200 miliardi di €. Questo significherebbe pagare TUTTA LA SPESA PER LA SANITA’, L’ISTRUZIONE E LE FORZE ARMATE con soldi presi a prestito! Chiunque sano di mente capirebbe che non sia sostenibile, senza scomodare premi Nobel per l’economia. Qualcuno attribuisce i deficit anni’80 alla decisione di non coprire più i buchi di bilancio stampando moneta. In realtà la decisione fu corretta, perché non è scaricando sulla valuta che si risolvono i problemi. Un’inflazione fuori controllo può essere altrettanto devastante di un grosso debito. I paesi con moneta debole normalmente sono paesi poveri, nonostante siano avvantaggiati in fatto di esportazioni, questo è un fatto. Inoltre stampare moneta per coprire i buchi di bilancio equivale a nascondere la polvere sotto al tappeto. E’ davvero così necessario spendere più soldi di quelli che entrano? EVIDENTEMENTE NO. Ma ai governi anni ’80 importava poco, in quanto il debito era in fase di crescita e l’economia era dopata da questa immissione di soldi presi a prestito. Qualunque fosse il motivo del disavanzo finanziario, i governi anni ’80 AVEVANO IL DOVERE DI PORVI RIMEDIO con manovre correttive, ma non l’hanno fatto per negligenza. Quando qualcuno vi dirà: “Eh ma con la lira si stava meglio” (tipico argomento da bar), gli si potrebbe seraficamente rispondere: “E GRAZIE AL C…!!!”.
  3.  Negli anni ’90 il problema debito diventò evidente e i governi fecero grandi sforzi per contenerlo, aggiustando man mano il bilancio fino ad arrivare quasi al pareggio di bilancio (cioè deficit = 0) con i governo Amato nel 2000. E' evidente nel grafico il cambio di tendenza del Deficit rispetto agli anni '80. Scrivo QUASI pareggio, perché il deficit scese fino allo 0,9%, la migliore gestione degli ultimi 40 anni, ma non toccò mai lo zero. Ma di lì a poco saremmo entrati nell’euro, e il costo del denaro sarebbe passato dal 10% della lira al 2% dell’euro, quindi l’Italia nel 2000 aveva tutte le carte in regola per tornare ad avere i conti sotto controllo, e tutti gli analisti concordarono unanimemente che l'euro avrebbe offerto l'opportunità di rimetterci in carreggiata.
  4. Il punto di discontinuità è certamente il governo Berlusconi del 2001. Il Silvio nazionale, trovandosi a governare con la nuova moneta e disponibilità di credito a basso costo, decise che, anziché continuare sulla via della gestione oculata delle finanze, sarebbe stato di stimolo all’economia un taglio netto delle tasse. Il che non è sbagliato, l’errore grave è farlo coprendo i buchi di bilancio con denaro prestato, anziché con la razionalizzazione della spesa pubblica. Alcuni economisti credettero che con il costo del denaro al 2% sarebbe stato semplice mantenere la crescita del PIL al di sopra di quella del debito. Maledetta matematica: purtroppo per tutti noi le previsioni furono errate, e il rapporto debito/PIL invertì la tendenza alla diminuzione, schizzando dal 106% del 2001, primo anno di governo di Berlusconi, al 121% del 2011, ultimo anno di Silvio nella stanza dei bottoni. A termine di paragone, il tanto contestato Prodi, nello stesso periodo cercò di rimettere i conti in regola, ottenendo miglioramenti evidenti nella tendenza del deficit ed invertendo la tendenza alla crescita dello stesso. Risultato? Noi italiani lo abbiamo insultato, lo chiamiamo con disprezzo “il mortadella”, quando 10 anni di Prodi al posto di Berlusconi avrebbero permesso di mettere i conti dello stato in sicurezza. Altra “piccola” questione, è quella del tetto del 3%, imposto agli stati membri della UE e sottoscritto volontariamente dai singoli paesi: il governo Berlusconi NON RISPETTO’ MAI IL TETTO DEL 3%. A qualcuno importerà poco, ma si tratta di una questione di credibilità internazionale. Che paese è quello che non rispetta un impegno solenne, sottoscritto giusto pochi anni prima, dal momento in cui entra a far parte di una comunità internazionale, e poi pretende addirittura di intimare agli altri paesi di “non ficcare il naso in questioni di sovranità nazionale”?
  5. Nel 2011, i mercati si rendono conto dell’insostenibilità del debito italiano, e scoppia la “crisi dello spread”. Per le menti semplici alle quali oggi i social network offrono facoltà di sproloquio, è tutto un complotto dell’Europa per intromettersi nella nostra politica e spodestare il virile Silvio nazionale. Per i normodotati si tratta invece della normale evoluzione di una situazione debitoria fuori controllo. Il governo Monti cerca di rimettere i conti in regola in maniera brutale, a volte anche scioccamente, con tagli orizzontali. La BCE governata da Mario Draghi accorre in soccorso dell’Italia azzerando il costo del denaro, con il cosiddetto “quantitative easing”. Da quel giorno, i governi che si susseguono cercano di barcamenarsi tra crescente antieuropeismo e rispetto dei limiti di deficit. In effetti, tutti i governi da Monti in poi rispettano il tetto del 3%. Se questo basta per riguadagnare credibilità internazionale, certamente NON BASTA A FRENARE L’ESPLOSIONE DEL PROBLEMA DEBITO. Ormai il valore assoluto del debito ha raggiunto dimensioni preoccupanti, e i 3% di deficit significa che ogni anno andiamo a sommare ulteriori 50 MILIARDI circa alla montagna di denaro prestato. Infatti il 3% NON E’ LA NORMALITA’, la normalità sarebbe lo zero. Il 3% è solamente il limite massimo di decenza accettato dai membri della UE.

Vediamo anche un parametro che esprime direttamente il peso del debito sulle spalle dei lavoratori in termini di tasse, ovvero il bilancio tra liquidità immessa e interessi da pagare, che identifica senza dubbio i periodi in cui il debito è stato d’impulso all’economia (barre blu), dai periodi in cui il debito è stato invece un peso:


Il debito è stato chiaramente in "fase di crescita" per tutti gli anni ‘80, dopodiché si è passati al "contenimento"; saltano all'occhio gli exploit di finanza creativa di Silvio nel biennio 2009/2010, che sono esattamente quelli che hanno portato alla crisi dello spread (…ma non era un complotto della "culona tedesca" con i suoi amici francesi? [6]). E pensare che immettere liquidità nel sistema in periodi di crisi non sarebbe, in linea di principio, un concetto sbagliato: il problema è che l’Italia si era già bruciata tutti i bonus negli anni ’80 e nei primi anni ‘2000.

Austerità o flessibilità?

Austerità e flessibilità sono due parole molto ricorrenti nel dibattito sull’economia. Purtroppo si tratta di parole ingannevoli: “austerità” evoca politiche che non tengono conto delle persone in nome della finanza, mentre “flessibilità” sembrerebbe dare connotati di umanità nelle scelte politiche. Eppure, alla luce di quanto succede intorno a noi, la definizione da attribuire a questi due termini dovrebbe piuttosto essere la seguente:

  • Austerità = curare i bilanci, facendo in modo che disavanzi e avanzi primari si pareggino nel medio termine à il deficit medio nell’arco di un decennio deve essere zero
  • Flessibilità = attuare politiche ruffiane per pagare assurde marchette elettorali, procrastinare i problemi alle generazioni successive in barba al minimo senso di responsabilità e di logica

Un argomento comune dei tanti che oggi sbraitano contro i richiami dell’Europa è che “le politiche di austerità abbiano fallito”. Alla luce dei dati di deficit storico, possiamo però affermare che l’austerità l'Italia non l'abbia mai vista negli ultimi 40 anni, dato che abbiamo sempre speso più soldi di quelli che entravano. Qualcuno potrebbe obiettare che, siccome ci siamo fatti prestare molti soldi, almeno abbiamo pagato meno tasse dei fessi che hanno curato i bilanci anno per anno: SBAGLIATO! a causa di questa negligenza nella cura delle finanze statali, gli italiani hanno finito per pagare PIU’ TASSE DEL RESTO D’EUROPA, come confermato dai dati sull’avanzo primario al netto degli interessi sul debito:


In poche parole, per inseguire la solita scorciatoia all’italiana, abbiamo finito per tirare la cinghia più di tutti! Questi sono i numeri impietosi che inchiodano l'Italia alla propria responsabilità nella pessima gestione della finanza pubblica:
  • liquidità immessa nel sistema tramite emissione di buoni del tesoro dal 1980: 215 MLD €
  • bilancio netto al 2017: -470 MLD
  • interessi pagati: 2673 MLD € (--> per avere 215 miliardi, ne abbiamo pagati 2673!!!)
  • debito accumulato: 2316 MLD €
E meno male che gli italiani dovrebbero essere più furbi degli altri...almeno sulla carta. La strada della “flessibilità” è dunque un percorso ingannevole che difficilmente porterà a qualcosa di buono.

Previsioni dei dati macroeconomici

Fare previsioni è arduo, in quanto i diversi parametri in gioco sono interdipendenti. La crescita, la pressione fiscale, il deficit, i tassi d’interesse sono tutti parametri che s’influenzano vicendevolmente. Senza contare che molto dipende dalla congiuntura internazionale. Ma proviamoci ugualmente, dato che di lavoro faccio calcoli. Possiamo fare delle semplici previsioni a dieci anni basate sui dati di deficit, a prescindere dai meccanismi che stanno alla base. Ho ipotizzato due scenari radicalmente opposti, ma potemmo trovarci facilmente in situazioni intermedie:
  1. Scenario Berlusconiano o Flessibilità”. Il neo-ministro Salvini ha virilmente dichiarato lo scorso marzo 2018 di essere pronto a ignorare il tetto del deficit del 3% [1]. Più o meno è quello che ha fatto Silvio per 8 anni senza sbandierarlo, mentre gli italiani erano più preoccupati dal bunga-bunga e dalle barzellette. Il deficit medio dei governi Berlusconi degli anni ‘2000 è stato del 4,1%. Vediamo cosa succederebbe al debito e al PIL con questo rateo di spesa in 10 anni, mettendoci pure un ottimistico tasso di crescita del PIL del 2% annuo per tutto il decennio:

    anno
    PIL
    crescita
    PIL
    debito
    deficit
    /PIL
    deficit
    debito
    /PIL

    MLD €
    %
    MLD €
    %
    MLD €
    %
    2017
    1716
    1,2
    2263
    2,3
    39,5
    131,9%
    2018
    1742
    1,5
    2302
    4,1
    71,4
    132,2%
    2019
    1763
    1,2
    2373
    4,1
    72,3
    134,7%
    2020
    1798
    2,0
    2445
    4,1
    73,7
    136,1%
    2021
    1834
    2,0
    2518
    4,1
    75,2
    137,3%
    2022
    1871
    2,0
    2593
    4,1
    76,7
    138,6%
    2023
    1908
    2,0
    2669
    4,1
    78,2
    139,9%
    2024
    1946
    2,0
    2747
    4,1
    79,8
    141,1%
    2025
    1985
    2,0
    2826
    4,1
    81,4
    142,4%
    2026
    2025
    2,0
    2907
    4,1
    83,0
    143,8%
    2027
    2065
    2,0
    2989
    4,1
    84,7
    145,0%
    2028
    2107
    2,0
    3073
    4,1
    86,4
    146,2%

    in questo scenario, nel 2028 raggiungeremmo un rapporto debito/PIL del 146%. Considerato che il quantitative easing della BCE terminerà a fine 2018 [4], e che nel 2011 la speculazione si accanì sul nostro debito quando questo raggiunse il 121%, è molto probabile che i mercati non ci consentiranno di sforare i limiti di deficit per un periodo così lungo. Una nuova crisi del debito sarà molto probabile entro pochi anni, proseguendo in questo scenario
  2. Scenario “Austerity”: supponiamo che i nuovi governi continuino nella strada del buonsenso e della riduzione del deficit, e finalmente si raggiunga la tanto agognata “parità di bilancio”, mantenendo la crescita su valori conservativi dell’1,2% che è il valore atteso per il 2018 dagli analisti finanziari:

    anno
    PIL
    crescita
    debito
    deficit
    /PIL
    deficit
    debito
    /PIL

    MLD €
    %
    MLD €
    %
    MLD €
    %
    2017
    1716
    1,2
    2263
    2,3
    39,5
    131,9%
    2018
    1742
    1,5
    2302
    1,5
    26,1
    132,2%
    2019
    1763
    1,2
    2329
    0,7
    12,3
    132,1%
    2020
    1784
    1,2
    2341
    0
    0
    131,2%
    2021
    1805
    1,2
    2341
    0
    0
    129,7%
    2022
    1827
    1,2
    2341
    0
    0
    128,1%
    2023
    1849
    1,2
    2341
    0
    0
    126,6%
    2024
    1871
    1,2
    2341
    0
    0
    125,1%
    2025
    1893
    1,2
    2341
    0
    0
    123,6%
    2026
    1916
    1,2
    2341
    0
    0
    122,2%
    2027
    1939
    1,2
    2341
    0
    0
    120,7%
    2028
    1962
    1,2
    2341
    0
    0
    119,3%


    con questo scenario si intravede la possibilità di invertire la crescita del debito addirittura già a fine 2019, nonostante la crescita ben più contenuta dello scenario espansionistico “Berlusconiano”. I mercati sarebbero ovviamente molto più benevoli nei nostri confronti e lo spread probabilmente si ridurrebbe a valori gestibili. Vale dunque davvero la pena di fare gli spacconi di fronte alla finanza internazionale quando si potrebbero mettere in regola i conti ed evitare il tracollo? 
    E’ di oggi la notizia che il Ministro Tria stia frenando le velleità della Lega di tornare alle spese pazze [3]: non l'hanno spiegato al ministro che la matematica non va più di moda?
Un dato che salta all'occhio è che il PIL con lo scenario "Berlusconiano", in virtù di una crescita accelerata dal deficit (tutta da verificare, comunque), raggiungerebbe nel 2016 un valore più alto rispetto allo scenario "Austerity" (2107 MLD vs 1962). E' argomento diffuso tra i fautori della crescita a debito che occorra spingere sul PIL, ma come dimostra questa proiezione, la crescita del debito quando questo supera il PIL è decisamente più veloce, e infatti il rapporto debito/PIL si prospetta decisamente migliore con lo scenario "Austerity", sia in fatto di valore assoluto che di tendenza.
Qualcuno dei nuovi alfieri del populismo 2.0 potrebbe obiettare: "E che ce ne frega del rapporto debito/PIL??!!111". Bravi. Vediamo allora quanti soldi resterebbero presumibilmente in tasca agli italiani, al netto degli interessi da pagare sul debito, e quindi delle tasse. L'aumento del PIL si dovrebbe riflettere sull'aumento dei salari medi, così come l'aumento del debito andrebbe a riflettersi sulle tasse da pagare, in virtù degli interessi sul debito stesso. Attenzione: lo scenario "Flessibilità" è stimato sulla base di una crescita generosa del 2% e a patto che i mercati non facciano scattare una nuova crisi dello spread, due condizioni tanto ottimistiche quanto improbabili!



Austerità
Flessibilità
salario medio 2018
€/anno
20304
20304
salario medio 2028
€/anno
23219
24925
aumento
€/anno
2915
4621
aumento interessi sul debito
€/anno
121
3322
differenza (= soldi in tasca)
€/anno
2794
1299

Premesso che non sono bei numeri in entrambi i casi, vediamo che nello scenario "Austerità" l'aumento netto di ricchezza equivale al 1,2% su base annua, mentre con lo scenario "Flessibilità salvo cataclismi", l'aumento è stimabile nello 0,5% annuo. Considerando che l'inflazione nel 2017 è stata dello 0,9% ed è in crescita, nello scenario "Flessibilità" assisteremmo ad una perdita del potere d'acquisto dei lavoratori. Ma l'importante ultimamente, a quanto pare, non sono i numeri bensì la percezione delle cose.
Conclusione: la Flessibilità dà solamente l'ILLUSIONE di andare a vantaggio del contribuente, perché nelle nostre condizioni gli eventuali progressi sul PIL andranno inesorabilissime vanificati dagli interessi sul debito, e a conti fatti probabilmente ci rimarrebbero più soldi in tasca con una politica di Austerità. E comunque, al netto di questo, un nuovo decennio in stile Berlusconiano è irrealistico perché i mercati non ce lo permetteranno.
Servirebbe un timoniere bravo a trovare il giusto equilibrio per abbattere il deficit senza alzare le tasse, tagliando sprechi e inefficienze e investendo strategicamente in opere davvero remunerative.

Cosa accadrà?

Immagino che l’azione del governo Conte ci darà risposte nei prossimi mesi, certo che gingilli costosi come il reddito di cittadinanza e la flat tax non aiutano nell’impresa di far quadrare finalmente i bilanci. Ricordano tanto le marchette elettorali anni '80 stile baby-pensioni, tanto per capirci. Personalmente sono pessimista, ma non per sfiducia nel Prof. Conte, bensì per sfiducia verso il popolo italiano. Vedo intorno a me il fiorire di sentimenti antieuropeisti e complottismi assurdi, motivati solamente dalla necessità d'individuare una causa esterna contro cui sfogare la rabbia e la frustrazione, molto spesso identificando le proprie vicende personali negli eventi socio-politici (e anche sportivi). Ormai per l’uomo dei social network sono contemplate solamente due situazioni:
  1. ciò che sono in grado di comprendere
  2. i COMPLOTTI
il fatto di non comprendere argomenti anche complessi non è più ammesso al tempo della democrazia social 2.0, ma è un fatto che la maggior parte delle persone sia a malapena in grado di comprendere che "il cielo stia in alto e la terra in basso" (Cit.). Una politica sana dovrebbe basarsi sul dibattito e sullo scambio d’idee e informazioni, e invece siamo arrivati alla politica della diffusione massiccia di bufale per distruggere l’immagine degli avversari politici. E proprio le persone che più condividono bufale sono quelle sicure di aver capito tutto, che non si pongono dubbi, in un tripudio dell’effetto Dunning-Kruger [5].
Proprio in questi giorni vedo il rifiorire di post anti-Prodi: non è curioso che, a distanza di 10 anni, torni improvvisamente di moda scagliarsi contro al professore? Mi viene il sospetto che qualcuno stia iniziando a sentire puzza di nuove crisi e voglia confezionare per tempo un colpevole per la propria base elettorale, sul quale scaricare le colpe dell'impossibilità di mantenere promesse elettorali che sfondano quota 100 miliardi [7].


In caso di bancarotta, le banche più esposte sul debito nazionale andranno in grave sofferenza, con rischio fallimento. Parliamo di colossi come Unicredit, Intesa San Paolo, BPM e Monte dei Paschi. Ma potrebbe esserci un effetto domino anche sugli altri istituti di credito [2]. A termine di riferimento, nella crisi islandese del 2008, le tre maggiori banche del paese collassarono e gli islandesi si svegliarono all’indomani della crisi con I CONTI IN BANCA AZZERATI. E parliamo di un debito da 50 miliardi di euro, cioè più o meno gli stessi soldi che ogni anno l’Italia spende a deficit: in pratica, bruscolini. Una bancarotta da 2300 MILIARDI, cioè 460 volte più grande di quella dell’Islanda, avrebbe conseguenze mondiali, sarebbe un colpo più grave della crisi del 2007 per l’economia planetaria. Va detto che ci sarebbero comunque interventi della comunità economica europea per scongiurare un evento tanto infausto, finiremmo probabilmente commissariati e potremo sfogare così le nostre ire sui commissari di Bruxelles. Conoscendo però gli italiani e la loro propensione ciclica a cacciarsi, entusiasti, in situazioni catastrofiche, non escludo l’eventualità della bancarotta tra l’esultanza maschia dei novelli “sovranisti”. Se poi la bancarotta dovesse essere il preludio all’uscita dall’euro, allora avremo la conferma di essere davvero un paese di autolesionisti, perché dopo aver defraudato la finanza internazionale di migliaia di miliardi di €, nulla salverebbe le bunga-lire da una svalutazione pressoché perpetua. E, c'è da scommetterci, i vari neo-sovranisti e populisti che oggi imperversano, sarebbero i primi ad aver messo i propri denari al sicuro in qualche conto in euro o franchi svizzeri per tempo, altro che neo-lire. Qualcuno mi ha controbattuto: "E chi ce l'ha un conto in banca!?!", quasi a sperare nel "mal comune, mezzo gaudio". Se qualcuno si illude che una bancarotta come quella dell'Italia possa essere indolore per chi ha oggi poco da perdere, si sbaglia di grosso, perché l'Argentina insegna che 20 anni di recessione non bastano a superare un evento del genere: per farla breve, il famoso piatto di minestra tutte le sere potrebbe non essere più garantito per tutti per diverso tempo.
Una nota di colore: durante il mio ultimo viaggio in Islanda, notai che i semafori della città di Akureyri avevano la curiosa forma di cuore. Mi è stato spiegato che si tratta dell'iniziativa del governo islandese per confortare ed esprimere vicinanza ai cittadini dopo la perdita di tutti i risparmi. Vedremo quale forma avranno i semafori in Italia da qui a dieci anni. 


Conclusione

L'acquisto dei buoni del tesoro da parte della BCE verrà presto interrotto, e difficilmente i mercati ci lasceranno raggiungere rapporti debito/PIL del 150% o oltre senza innescare nuove crisi dello spread. L'elettore italiano medio spiega tutto questo con i complotti e dando la colpa all'Europa e alla Germania, mentre una parte della politica cavalca un mix di malcontento e sentimenti nazionalistici uniti a ricette facili, almeno all'orecchio di chi le ascolta. E' dunque probabile che qualche sconvolgimento finanziario grave abbia luogo da qui a dieci anni, se non si inverte la rotta nella politica finanziaria. 

Riferimenti: